giovedì 16 ottobre 2014

Grazie Massimo!


Dimesso, mi apparto per ritagliarmi il solito posto su quella tiepida stesa di gramegna. È passato un anno e intorno pare quasi tutto immutato...solite facce, solite dilanganti speranze del "ve ne famo 'n capagno", la solita scaramanzia; è quest'ultima a impormi, come dal giorno dell'incisione del Piazzai fino ad oggi, di canticchiare tra me e me; l'inno A.Ci.Do arriva con i ragazzi in piedi, una linea unica schierata a centrocampo; tirano fuori il petto, alzano lo sguardo al cielo terso di questo balordo ottobre alleronese.
Siamo qui per te. Ci siamo ritrovati a chiederci spesso in questi ultimi giorni, se sarebbe giusto continuare e abbiamo deciso di farlo perché tu avresti voluto vederci così: accalcati sui pendii di questa greppa, colorati e pronti a sgusciare le mani, rumorosi e sguaiati, anche mezzi alticci, se qualche buon'anima ha provveduto a cava' il bombo.
In questa strana atmosfera di incompiutezza, l'11 settembre 2014 scende in campo, per la prima volta senza di te, la nostra amata ACD.
Osservo commosso e ancora incredulo lo striscione appeso, ai lati della panchina, in cui giganteggia un doveroso e quanto mai riduttivo "Grazie". I ragazzi lo fissano; finché ci sara' qualcuno a correre dietro ad un pallone, su quella terra battuta, a stropicciarsi il polverone dagli occhi prima del fischio finale, qui dove Ripuje trascina via a fatica le nostre lacrime, qui, ci sarai anche tu. Lo circondano, si abbracciano verso la panchina. Sulla greppa, impediti a proferir parola, braccia pietrificate e piedi accavallati come tanti Cristi Crocifissi, muti, feriti e graffiati nell'anima.
Chi era dalle parti dello spogliatoio non dimenticherà questi anni densi di ricordi, vita fianco a fianco, condivisa con l'entusiasmo e la tenacia di chi ha creduto fin dall'inizio in questa piccola scommessa, di chi ha messo la propria vita al servizio della gente, di chi ha lottato strenuamente affinché questo anfratto dimenticato da Dio, anche nei suoi interminabili inverni, mantenesse una luce di speranza.
Ci hai insegnato che si può riempire la vita di tante cose, che esiste un tempo da dedicare a se stessi e molto altro da dedicare agli altri, che qui, tra questi angoli, nelle nostre piazzette piuttosto che seduti al tavolino del bar, gli altri siamo davvero noi.
Ci hai svelato gli angoli più attraenti dei nostri vicoli, le viste sconfinate e i piu' nostalgici tramonti dietro ai campi appena trebbiati, i sentieri tra i boschi, i colori e gli odori unici di un arcobaleno scrutato dall'alto della Porta del Sole, li hai resi crocevia per tutti quegli aficionados che tornano a riempire di dialetti e cadenze lontane, i nostri pomeriggi d'estate, lasciandoci la preziosita' del tuo sguardo, mai banale e sempre profondamente acuto; ci hai permesso, anche quest'anno, ancora oggi, di ritrovarci, tutti insieme, dentro e fuori dal campo di gioco.
Per questo e per tantissimo altro, da quelle finestre, dalla greppa del Tardiolo, dai vicoli del borgo, proveremo a far uscire canti, cori e musica, rumore di passi che calpestano un palco, l'odore di un soffritto nostrano e sguardi entusiasti di questi poggi mozzafiato.
Chi ha pensato a quello striscione, acceso di un rosso e blu quanto mai saturo di colore, che guarda ai poggi della greppa, quasi come un vero e proprio monito, ci ha impresso una densità di pensieri e ricordi e, più di tutto, un messaggio chiaro; perché in fondo, più di tutti loro, piu' di tutti noi, hai saputo essere portiere felino, coriaceo e attento difensore, sofisticato centrocampista euclideo, propositivo attaccante in avanti. Noi (altri), da ora in poi, sapremo, tutt'al più, soltanto avanzare dei timidi passi.
Per questo e per tutti i sabati pomeriggio in cui vivrai con noi gli schiaffi di una sconfitta o gli abbracci universali di una vittoria come quella di oggi, Grazie.
Si è fatto tardi, sono rimasto con il capo tra le mani a ricordarti mentre cojonave 'l Bello in versione Moggi, con quello strano lancio d'aria al ciuffo ribelle, o scommettevi a rialzo sulla prossima squalifica dopo i famigerati lanci della bandierina, a contargli l'ennesima sigaretta.
Me ne vado. Da qualche parte ci sarà un campionato da organizzare, multe da pagare, campi da spianare. Lì, ne sono sicuro, ci sarai tu.
Il sole ottobrino mi sta salutando, con la lentezza e la clemenza di chi e' rimasto per suggellare questa giornata densa di te. Mi allontano stordito dai pensieri, ripetendo, come fossi un disco rotto, quella frase del nostro inno che fa così: "Sogno di vederti sul campo e ti vedo davvero".
Grazie di tutto amico mio!



lunedì 10 marzo 2014

Se vuoi vincere, devi saper perdere



Quando tanti, tanti (ma veramente tanti) anni fa iniziai il liceo ero un ragazzo alto poco più di un metro e sessantatrè, abbastanza goffo con i miei pantaloni corti sopra il ginocchio e i miei occhiali spessi come il fondo di una bottiglia. 
L’ aspetto bislacco comunque non mi ha mai impedito vivere con passione qualsiasi cosa facessi nella mia vita; come ogni ragazzo a prescindere dalla generazione,  la musica, i libri, il ballo, le feste (regà ve garantisco che allora, a differenza de adesso, sgarrà il coprifuoco delle 10 e mezza era 'n casino) e naturalmente le donne, erano le mie più grandi passioni(“'l bongiorno se vede dal mattino..”). 
Tuttavia il mio vero vizio è stato e sempre rimarrà (oltre al gentil sesso) il calcio: lo vivevo da idealista, con lealtà cavallesca, una ricetta che ora che so vecchio direi che faceva di me un buon compagno di gioco, uno di quelli “che la passa”.
Allora non avevamo la fortuna di avere un campo o una società pronta ad accoglierci come un qualsiasi bambino che oggi decide di avvicinarsi a questo sport: giocavamo per strada, meno che mai avevamo una porta (due sassi, due vasi di fiori, un sasso e un vaso, insomma quello che trovavamo senza troppe formalità), nessuno aveva mai indossato una “maglia”, anzi, se non stavamo attenti a non rovinare “li panni” che c’avevamo addosso ogni nuova toppa comparsa il giorno dopo avrebbe indicato a chiare lettere il numero di schiaffi presi la sera prima, una sorta di marchio del disonore insomma, che sarebbe ricaduto a suon de “ma te pare..?” sulle generazioni successive fino alla fine de secoli.
Nel gioco cercavo di compensare i miei limiti fisici come potevo, non riuscendo a vincere mai nei contrasti (forse me sarà venuto da lì il complesso di Napoleone?), cercavo di correre a più non posso, che Speedy Gonzales a confronto sembrava il regionale della tratta Orvieto-Siena; devo dire che nei momenti di difficoltà ricorrevo  spesso ad un aiutino esterno ( per chi già pensa male, “ma ch’ete capito? Mica ero n’drocato”!!): diciamo che ricorrevo ad uno stimolo di tipo iconografico, ovvero l’immagine della faccia che fece la mi mamma quando s’accorse che la damigianetta del vino rosso era stata misteriosamente dimezzata, mediante un sapiente buco fatto ad opera d’arte dal sottoscritto con la complicità del mi cugino più piccolo (in due avremo fatto si e no vent’anni), che ancora oggi regà, quanno ce ripenso me viene da corre! Non me la cavavo malissimo nemmeno con i piedi, certo non ero Maradona, ma ciò mi bastò a farmi guadagnare la stima e il rispetto dei miei amici, con cui trascorrevo quei pomeriggi così spensierati e che rimpiango ogni volta che sento la voce argentina della mi moje tuonare a mo’ di condanna a morte “do seeeee?”, inteso come seconda persona del verbo essere.
Ma le cose belle si sa, hanno sempre una fine più vicina di quanto vorremmo: un giorno di fine giugno arrivò ad Allerona un “forestiero”, nipote di certi parenti di Roma della nonna della fija della sorella del farmacista tanto per chiarezza, venuto a passare le vacanze nel paesello e “pe' respirà n’ po’ d’aria bona che la pe' quelle città 'l verde quanno lo vedono mae”?! Mah. 
Il ragazzo in questione 15 anni, ma già alto uno e ottantacinque  e con due spalle che lo rendevano più simile al minotauro che ad un individuo umano, chissà perché non mi prese in simpatia. 
Narcisisticamente mi sono sempre detto che forse era colpa proprio di quell’altezza spropositata in cui proprio non si ritrovava e che gli faceva quasi invidiare il mio piccolo mondo; più probabilmente era dovuta al fatto che il giovanotto in questione non spiccava in quanto a cultura e che la mi mamma aveva avuto la bella pensata di offrirmi come vittima sacrificale sull’altare delle ripetizioni al suddetto minotauro.
Orbene, il ragazzo in questione aveva però un solo ma indiscusso talento, era un portento del giuoco del calcio; ed il giorno che decise che sarebbe sceso in strada a giocare con noi e che io, 'l Maradona de noaltre, non avrei più toccato praticamente nemmeno mezzo pallone, divenne uno dei giorni più tristi della mia adolescenza. 
La botta fu talmente grossa che, ebbro d’orgoglio, decisi che non avrei mai più giocato in vita mia. Era o perlomeno sembrava la storia di Davide contro Golia, ma con un epilogo inverso.
A questo punto però vi chiederete il perché di tutto questo panegirico: non ho raccontato la mia storia per amor di vanagloria, ne del resto intendo incitare qualcuno a contattare la De Filippi per farmi incontrare il mio vecchio amico a “C’è posta per te”. 
Il senso di questa storia sta tutto nel suo finale; nella mia (pur breve) carriera calcistica la più grande sconfitta non è stata nel risultato scadente, ma nel perdere il senso per cui giocavo, perdere la passione, perdermi dentro una semplice delusione.
Cari  giocatori, carissimi tifosi, in questa semifinale abbiamo vissuto una storia per certi versi simile alla mia, anche noi ci siamo imbattuti in un forestiero più forte (che so gente “tanto, tanto vone” per carità, ma 'l fatto che Foligno è Lu centro de lu munno c’entrerà  pur qualcosa, no?!), nel nostro Golia personale, in una squadra che oltre ad aver fatto una splendida performance di gioco il cui merito va soprattutto ad alcuni elementi con cui si ha difficilmente possibilità di misurarsi in un girone di terza categoria, ci ha dato anche una grande lezione di  sportività e correttezza. 
Dal canto nostro abbiamo lottato con la dignità ed il cuore che ci contraddistingue, con tante assenze ed infortuni che purtroppo hanno fatto la differenza.  
Una delle regole più importanti, però, per imparare a vincere in questo sport è proprio riconoscere quando un avversario è superiore. 
Bisogna saper perdere” cantavano The Rokes con Dalla, anche se fa male, anche se sognavamo già il pullman, la coregorafia da serie C, la coppa, il Cholo che alza quelle col vino, anche se sognavamo solo di esserci ancora, almeno un’altra volta.
Io credo però (e i più superstiziosi si lancino nei rituali più vari) che ci saremo ancora su quel pullman un giorno, perché anche la nostra società ha una forza speciale, una marcia in più: la capacità di saper ricominciare nei momenti più bui, di vivere la parte autentica e vera dello sport al di là di tanta burocrazia, di saper festeggiare con l’avversario (a questo proposito ringrazio la capitana nonché presidentessa Vanessa che sul social network ce ne ha dato prova)…
A volte quando ci si sente smarriti durante un lungo cammino l’unica cosa da fare è fermarsi un attimo, guardarsi indietro e  ricominciare dal principio, dall’essenza delle cose: novanta minuti, un pallone, undici cuori che battono all’unisono e la nostra immancabile, celebrata, sudata ed amatissima greppa.



lunedì 10 febbraio 2014

Moje e buoi (e muli)




Tiberio Tiberi, noto ai più come Brodo, era un uomo robusto, ben piantato, uno di quegli alleronesi veraci a cui la “macchia”, intesa come “bosco”, inteneriva il volto, impreziosiva anche i solchi delle mani. Me lo ricordo con quella camicia da battaglia e la giubba di velluto appoggiata sulla spalla quando, a Mattio, col suo stile indimenticabile, radunava i muli; in sella, pe’ la scesa, a quella già vecchia bicicletta Bianchi e poi al ritorno, quando cominciava la salita, a piedi, spingendola a mano. Seduto lì, ai piedi dell’Orologio, come chi aspetta di respirare quell’aria bona che ti rianima, dopo una lunga giornata di lavoro, a dilungarsi in chiacchiere e bloccare i passanti. Non gli sfuggiva niente e se per un paio di giorni non ti aveva visto bazzicare da quelle parti, al terzo ti punzicava: “Chi nun more s’arivede”, diceva Brodo. E oggi, come allora, sarebbe toccato a me.
Ebbene, sì, cari tifosi acidi, eccomi di nuovo su queste pagine a sventolare, dietro gli strepiti di questa tramontana, così troppo tiepida da mandare a male tutte le salate, la mai dimenticata bandiera rossoblú.
Ho saputo, dal mio Fido &Co, che tra gli irti colli alleronesi, oltre alla nebbia e al ribbollir dei tini, altre storie hanno tenuto banco in questa mia stagione di latitanza. Come dire, l’hanno dette pe’ pelle de’ cane, raccontate de cotte e de crude. Eccovi alcune tra le versioni più pregevoli:
a) “l’ha avuta”. E qui, consentitemi, giù a ravanare i “poliminibus”, come avrebbe detto, pace all’anima sua, la mia baffuta insegnante di latino;
b) “Ha chiuso baracca e burattine”. Aminadab era il cavaliere mascherato che parlava per Mister Moureno e che, dopo l’esonero, è emigrato verso altri lidi, limitandosi a scrivere sui vari modi di soffriggere la trippa;
c) “la moje l’ha vergato”. Il troppo tifo acido e la scarsa attenzione erotico-affettiva, rivolta alla signora di cui sopra, l’hanno portato al patatrack;
d) “troppe bicchierette”. Il buongustaio alleronese è finito all’ospedale perché c’ha ‘l fegato grosso come ‘na vacca chianina e le transaminasi che, per scriverle su un referto medico, ce vorrebbero i logaritmi;
Insomma, chi m’aveva già assotterrato co’ tutto lo scrittoio, chi aveva “sciolto le cane” (per la serie, “si so bone pel cignale…!”) e chi aveva più volte pensato alla lettera da scrive' a “Chi l’ha visto”, mai arrivata perché l’intestazione della missiva, alla voce: “destinatario”, pare riportasse: “Che l’hae veduto?”. Annullata la spedizione postale, nessuno, pare, sia stato in grado di rintracciarmi e chiudere il cerchio apertosi intorno alle nebulose vicende che mi avevano coinvolto.
Orbene, cari amici e tifosi a.ci.di, dopo questo lungo preambolo posso dire una cosa con certezza: di tutte le voci, dicerie, chiacchiere, maldicenze, indiscrezioni, storie e leggende sul mio conto, “nun ce n’è una bona manco pe’ fa la coppa”!
Allora che è successo veramente, vi chiederete. Bene. Successe che il vecchio cronista si innamorò perdutamente di una giovane ragazza, badante interna in casa del mio vecchio amico castellese, e che qui, per comodità, chiameremo Lolita come l’eroina del romanzo di Nabokov, e decise di vivere sino in fondo quest’ultima avventura erotica.
Alta, bionda, con le curve al posto giusto, na’ ventina de’ centimetri di più ed altrettanti anni in meno, che, detto tra noi, quando si ha a che fare con certe faccende, non guastano affatto: insomma, cari tifosi rossoblú, vi tradii, rinunciai al bacio setoso del baffo del Bello, per quella gentile parte dell’anatomia femminile che, a Napoli, dicesi pucchiacca! Volete mette!
Oltretutto, la Lolita in questione proveniva, udite, udite, da Begec, paese della Serbia, sconosciuto ai più, ma che diede i natali nientepopodimenoche all’illustrissimo Vujadin Boskov. Mi innamorai di lei perché sapeva tutto della Stella Rossa e praticamente parlava come l’indimenticabile allenatore della Sampdoria. Nel nostro primo incontro, quando passammo alle vie di fatto, ella, con quell’incantevole accento, mi chiese: “Hai messo barriera?”. Me partì ‘l capo come “cervo che esce da brughiera”, dicesse Boskov.
Trafficai parecchio, senza aver capito molto bene il senso della domanda, poi, con l’impeto del grande Cortellini, ultimo difensore delle domeniche al Tardiolo, le sussurrai: “Sì, l’ho messa sul primo palo”. Ma ella si inalberò e, convinta a seguire i dettami del suo manuale, mi gridò: “Barriera si mette su palo e basta.”
Quella sera, sconvolto dal dover rivedere tutte le poche certezze calcistiche che avevo appreso nelle mie cinquanta-e-‘n-po’ primavere, divorato da tutta ‘sta confusione calcistico-erotica, feci cilecca. Mi girai e rigirai nel letto, sognando i fasti del primo amore che non si scorda mai; era ‘l Bello che me sventolava ‘l manico della bandierina tra capo e collo. Preso da un sussulto, in dormiveglia, le gridai: “Farabutto! Lei è ‘n farabutto!”.   
Finì così. Il connubio calcio-eros durò quanto un fuoco di paglia. E non fu solo per colpa delle mie discutibili doti nell’ars amatoria.
In primis tutti quelli che mi conoscono, anche solo virtualmente, sanno bene che, oltre ad essere una gran forchetta, so’ anche de’ bocca bona. Orbene, giusto come infarinatura gastro-culinaria, sappiate che un pranzo tradizionale serbo si apre sempre e solo con la “Corba”; fu amaro lo stupore nello scoprire che con “Mangia Corba!” la bionda della Stella Rossa non intendeva il presente indicativo del verbo “Corbare”, vale a dire: “Magna e fatte ‘na pennichella” bensì: “Magnate sta minestrina”. E questo fu, su per giù, il menù settimanale al quale sottostai per quel periodo: lunedì: “corba al pommodoro”, martedì: “ribollita de’ Corba d’agnello”, mercoledì: “brodo de’ Corba de’ patate”, giovedì: “corba de’ spinace”, venerdì: “corba de’ funghi prataioli”; insomma, la mi pora nonna eva ragione, ogni bel canto viene a noia e, Corba-che-te-ri-Corba, Corba-te-che-Corbo-io, dopo poco mi sentii come la scena del film in cui Forrest Gump parla, per giorni e giorni, dei mille ed uno modi in cui rendere ricettabili i gamberetti.
Come avrete notato, tra l’altro, ho sorvolato sul pranzo domenicale perché quando, al  ritmo di “Tagliatelle Dreamin’”, parafrasando un celebre brano degli anni sessanta, mi furono servite le scodelle con la govedja čorba e la teleća čorba (rispettivamente a base di interiora di manzo e di vitello) l’amor profano, ebbe la meglio. Il primo amor profano, bene intesi. Ebbene, in quel giorno compresi che il pensiero dell’antipasto misto domenicale, co’ la mazzafegata e il capocollo de’ Ferretti, non mi avrebbe abbandonato fino al momento del trapasso.
Quelle domeniche trascorse a base di acque cotte sciacqua-budelle, tra un’elegante bionda dell’est dalle camicie ricamate e un semi-calvo alleronese dall’unghio incarnito, espatriato insieme alle sue inseparabili ciavatte de’ la sanitaria, abbinate ai calzettoni di spugna, quelle giornate bizzarre come il congiuntivo di Boskov, finirono così. Finì che appesi le scarpe al chiodo e ritornai fra le braccia grosse, per carità, ma confortanti della mi moje, suocera annessa, tra i baffi brizzolati del Bello e i valori normali della prostata.
Le lasciai un messaggio, scritto con una biro, dietro al ritaglio di giornale che celebrava lo scudetto di Vujadin, a Genova, nel 1991 che faceva così: “Partita dura novanta minuti e finisce quando arbitro fischia”. Ce vedemo più vecchie.
Il viaggio di ritorno fu, come spesso accade, pieno di ansie e di tormenti ma anche di curiosità su quello che mi ero perso. Ricordai in particolare, di un pomeriggio in cui, mentre facevo la posta alla bella slava, incrociai, tra i vicoli, l’aiuto cronista A.Ci.Do assai scoraggiato. Gli chiesi lumi sulla squadra, sui ragazzi, sul nuovo allenatore e il Nostro mi rispose, insaccando le spalle, alla Boskov: “pallone entra quando Dio vuole!”
Ragazzi, popolo rossoblù tutto, eccomi qua! Abbiamo da scrivere un’altra importante pagina di calcio e di vita insieme ed è proprio nei momenti più duri che, se guardiamo con gli occhi giusti, il bandolo della matassa appare più vicino e le imprese, da impossibili, appaiono già a portata di mano. Magari, basta scendere e portare la bicicletta sottobraccio. A quel punto, quella partita, “la possiamo vincere, perdere o pareggiare” ma per lo meno, abbiamo deciso di giocarla a modo nostro.
Sapete cosa gli risposi io a quel cronista? Da vero filosofo alleronese, gli dissi: “A te te sembra ‘na salita ma, se la guardi bene, penne come ’na scesa”. 
Tiberio, ne sono convinto, sarebbe fiero di me.


mercoledì 12 dicembre 2012

Digestione pesante




Cominciamo dalla fine (che è tanto più mejo): la cena sopraffina cucinata dalle magnifiche cuoche del borgo.  Il menù è (semplicemente) delizioso: si aprono le danze con un antipasto di terra con crostini e formaggio, segue la prelibatezza del baffo con la salvia; a continuazione ecco la ricchissima polenta con sugo di salsicce e costolette servita su fondina in legno (squisita, bbona, abbondante e ben condita!). A ‘sto punto so’ quasi ‘ncinto, (‘sto fijo sarà del Bello?) però spajo la trippa e il relativo solido in essa contenuto e fo’ posto a le faciole co’ le cotiche! Fantastici! So’ quase svenuto, ma non posso rinunciare (mae e poe mae) alla celeberrima zuppa inglese (made in famiglia Tardiolo).  Ho perso il conto delle bottiglie di vino rosso -di Fischietto, of course- che hanno accompagnato l’accidentata peristalsi. Dice il mio fido & Co, che le bocce che abbiamo scolato, in allegra compagnia, sono state quelle giuste (e punto!). Che filosofo!
So, però, che mi attenderà una nottata da rivulticasse mal letto, liti con la mia signora (purtroppo non ha voluto esser dei nostri), bicarbonato in grandi dosi, produzione di suoni, tramite l'emissione d'aria che attraversa il cavo orale proveniente  dallo stomaco attraverso l'esofago, sorto a seguito di processi digestivi, che il lettore saprà ben identificare, oppure, come extrema ratio,  ci sono le pasticche di Digenzym che l’egregio dottor Lisei mi ha consigliato.
Il vino di Fischietto, di cui sopra, produce effetti collaterali e contribuisce alla riuscita (piena) della serata: ci accompagnano dal vivo,  con tanto di musica e di karaoke alcuni calciatori a.ci.di. (regà bevete meno!) tra cui fanno spicco per le notevoli doti canore gli scatenati fratelli Fringuello, Matteo Palombini e Fabio Urbani. Dulcis in fundo,  la coppia di fatto Bello-Bilancini allietano gli astanti con vari duetti polifonici del repertorio del mitico complesso alleronese Terra Semi Illusioni, capitanato dall’indimenticabile Asinello. Si chiude con una grandissima ovazione di ringraziamento agli organizzatori, alle cuoche, e con un discorso (discorso!) del nostro maresciallo-arbitro-medico sociale Moreno Urbani! Fantastico!
Passo alla cronaca sportiva. Mentre la mi moje abbraccia il dogma dell’Immacolata Concezione, io mi dileguo al Tardiolo, alle 14.30, per assistere al match interno col Torgiano. Il campo è baciato da un sole crepuscolare: la tramontana sferza i nostri volti in questo sabato marcato dalla decisione del presidente del mio Milan di (ri)scendere in campo (ma pe’ giocà a pallone?).
Sugli spalti, noto una discreta presenza di pubblico a.ci.do,  imbacuccato da far paura, e equipaggiato con un arsenale composto da botti, petardi, bandiere e striscioni (uno dei quali recita così: “Torchiamoli”). Vi sono molte assenze dovute a lo strino, e poi i cacciatori, i fungaroli (grandi capagni di ordinali transitano in questi giorni per Allerona), e ancora –con assenza più che giustificata- le donne e gli uomini d’Allerona impegnati nella preparazione della cena che concluderà la serata presso la Sala Aurora. Ve capisco!
Il capotifoso Davide Franzini, al secolo Cimino, ha la brillante idea di accendere un gran falò per riscaldarci: meno male che ‘l Cimino c’è!
Il Torgiano, mi riferisce l’osservatore & Co, è una squadra assai compatta ed esperta; attualmente occupa il primo posto in classifica nel nostro girone. Torgiano, com’è noto, è un comune della provincia di Perugia, indicato come uno dei borghi più belli d’Italia (lo saprò io? Ce so stato!). Ha origine da un castello medievale. Di quest'ultimo non restano che poche mura diroccate e una torre. Nel XVII secolo, i Baglioni vi eressero un palazzo, che, negli ultimi anni, una celebre famiglia di viticultori della zona (i Lungarotti)  ha adibito a Museo del vino. Torgiano è, infatti, rinomata, in Italia e nel mondo, per i suoi vini DOC e DOCG, tra cui fa spicco il Rosso Riserva (che bontà!).
I fratelli in mutande alleronesi, scendono in campo (quasi come Berlusca) con Ludovico della casata Urbani tra i pali (vista la squalifica di Cortellini-Cassiu Clay per 6 giornate!); in difesa comanda il reparto il re Cochi supportato da Femminelli, Fringuello Simone e Pietro Bambini. A centrocampo dirigono l’orchestra sinfonica ‘l Varge, Fringuello Matteo, Alessandro Sciulli e Diego Urbani. In attacco pungono, come (quasi) sempre Sciulli Luigi, ‘l brigante de la Meana, e Papallino, Principe de’ noantri.  Fischio d’inizio: partiamo alla nostra maniera, mettendo il sigillo a.ci.do. sul manto in terra del Tardiolo. Si va all’attacco con criterio, cercando di concedere pochissimo agli esperti avversari. Purtroppo, al quindicesimo, alla prima occasione dei rivali, su una palla vacante in area, il centravanti torgianese, lasciato smarcato dai nostri eroi, trafigge, a botta sicura, la rete alleronese. Il suddetto nove, è un gran gnagolone (come diremmo noi): infatti, al minimo contatto con i nostri difensori si butta a terra alla Chiarugi, invoca l’arbitro, la mamma, con una litania impossibile di Ahi, ohi, ah, oddio… Non se ne può più! I tifosi a.ci.di. lo sfottono a più non possono e gli gridano dietro tutti gli sfottò di lamento possibili. 
Oltretutto, il portiere avversario è un maestro (diplomato) nel perdere tempo. Il referee fa finta di non veder niente. Ora è il vento, ora la palla non è nella giusta posizione,  ora è un centrocampista torgianese che calcia; insomma, ad ogni rimessa in gioco si perdono circa trenta secondi…
Torniamo alla partita: come spesso ci succede, non ci diamo per vinti e ritroviamo la giusta lucidità per far girare palla, combattendo, dettando i tempi dell’incontro a centrocampo con ottimi spunti per i nostri attaccanti. Dopo circa dieci minuti, su un’azione da manuale calcistico, pareggia il grande Little Ball che insacca un pallone invitante proveniente da destra. Nel bel mezzo del fragore della tenzone, l’arbitro inizia a vaneggiare fischiando a senso unico (per loro); infatti, sul finire del primo tempo, su una punizione invertita (era fallo per noi, concesso ai torgianesi) i nostri avversari tornano in vantaggio: il loro tiro, a dir la verità non irresistibile, forse a causa del forte vento, si adagia all’incrocio dei pali nonostante il tuffo del buon Ludo. 1 a 2!
Si va negli spogliatoi per il meritato risposo. Nel secondo tempo entriamo motivati a cambiare il risultato, spingendo incessantemente sulle fasce. Purtroppo, perdiamo Matteo Fringuello per una doppia ammonizione. I dieci opliti riacciuffano il meritato pareggio grazie alla maestria di Luigi Sciulli, attaccante dai piedi d’oro, il quale, con una splendida punizione da destra, e da fuori area, aggira la barriera avversaria. 2 a 2. Gioia infinita sugli spalti!
A questo punto, si cerca la concentrazione, il fiato e la forza nelle gambe per poter agguantare. E qui, ahimé, mister Moureno mescola le carte con sostituzioni improbabili; la squadra oltre che ritrovarsi in inferiorità, risulta sbilanciata. Le mosse che dovevano essere correttive, risultano, a mio parere, controproducenti; i nostri, troppo esposti a centrocampo, si dividono in due tronconi. In più, l’arbitraggio continua ad essere palesemente di parte; e infatti, a dieci minuti dalla fine, sulla solita palla vacante, dopo non so più quanti rinvii, campanili, candelabri, frisature e svirgolate, arriva il vantaggio torgianese.
Con due tiri e mezzo gli avversari di quest’oggi si portano a casa i tre (preziosi) punti. 
Restano pochi minuti e, a questo punto, quando dovremmo –in teoria- rimontare, entra un difensore di ruolo: il buon Serranti Nicolò! La mossa della panchina mi è parsa del tutto sbagliata, proprio nel momento dell’assalto finale.

Considerazioni finali (senza pagelle): inizio dall’episodio tragico accaduto in Olanda, con la morte violenta di un assistente arbitrale. Ci dovrebbe far riflettere.  
‘l Bello, tuttavia, quest’oggi non fa lo sbandieratore; è stato relegato al nobile ruolo di raccattapalle! Meglio così, eravamo tutti inferociti con l’arbitro, e un’altra squalifica (e un’altra multa) proprio non ci voleva! 
Seconda considerazione: pareggiare con la prima in classifica, in dieci, e a pochi minuti dalla fine, mi sembra un miracolo che l’Immacolata Concezione, forse sollecitata da la mi moje, ci ha concesso; annà a stuzzicà ‘l fomicaio con un’improbabile vittoria, col coltello fra i denti, e all’ultimo sangue, si è rivelata una scelta assai pericolosa. Sarebbe stato meglio, a mio avviso, dimostrare un po’ di umiltà –che nel calcio, come nella vita non fa male- e agguantare il risultato, magari rafforzando il centrocampo.

Terza considerazione: se proprio si voleva tentare l’arrembaggio, sarebbe stato meglio farlo inserendo un attaccante e non un difensore, no?

Comunque, grandissimi i nostri ragazzi e ora… annamo a cena ma la Sala Aurora!





mercoledì 5 dicembre 2012

Di feste, fasti e ricordi...




Sabato 1 dicembre, la Chiesa Cattolica festeggia Sant’Ansano Martire (winter!), patrono che noi della Meana abbiamo l’onore di condividere con i fratelli toscani di Piazza del Campo; proprio quando a Siena, con una solenne processione, si dà avvio ufficialmente all’anno contradaiolo, nella nostra Santa Maria, gremita all’inverosimile, si celebra la storica funzione officiata da Monsignor Benedetto Tuzia e accompagnata dalle emozionanti performance del coro polifonico made in Allerona, “Canto Libero”. Una giornata all’insegna della preghiera, densa di storie paesane e di ricordi; tradizionalmente, infatti, i festeggiamenti in onore di SantoSano rivestono un ruolo sociale di primaria importanza per la nostra piccola comunità che, soprattutto in quelle occasioni, si ritrova dando dimostrazione di essere un tessuto sociale coeso. Ancora oggi, l’aria pungente del primo giorno di dicembre ha un non so che di frizzante che mi apre il petto, facendomi vivere la sensazione della “festa”.

Orbene, proprio in questi giorni, lucchesine odor di naftalina e sciarpe rossoblù alla mano, assistiamo ad un brusco cambiamento climatico. A tal proposito, ricordo il proverbio di una volta che recitava: “Sant’AnZano: uno sotto e uno ma le mano”, inteso come scaldino, ovviamente! Il freddo è alle porte ma noi sappiamo come rimediare.

A proposito di iniziative per riscaldarci, vi ricordo che sono ancora aperte le iscrizioni per la cena organizzata (sabato 8 dicembre) in collaborazione da due baluardi paesani (ProLoco & A.C.D); il menù è ricco e bello tosto, le mani sopraffine delle nostre cuoche sono una garanzia, e ‘l vino ‘mbottigliato, è il giusto (nun avanzarà); ah, se c’avete la compagna e le scarpe bone, ce scapperà anche qualche giro de’ Mazurca! Io ho già prenotato il posto vicino a B&B, intesi come ‘l Bello (che balla bene) e Mister Baldini.

Orbene, torniamo a noi. I meno giovani (diciamo così) ricorderanno quanto questi giorni di festa, scuole chiuse, previa recriminata presenza nella raccolta dell’olive (per l’azione della “capatura”), fossero occasioni per ritrovarsi a correre dietro ad una sfera (dopo la dottrina, ovvio!) La nostra fu una delle ultime generazioni che crebbe allo stato brado, per campi; eravamo un nutrito gruppetto di alunni, dagli scarsi profitti scolastici, che tuttavia si difendevano bene in altri campi. Quelli da pallone, ad esempio. E Piazza del Comune (Attilio Lupi, of course) ci pareva l’Olimpico.

Erano giorni di deliri d’onnipotenza, calci nel culo, lividi e ginocchia scorticate perché le nostre partitelle erano tutt’altro che “amichevoli”. Quando arrivò poi l’epoca del Super Tele, un mito sferico bianco a pentagoni neri, dal prezzo irrisorio, ci sembrò davvero di avere il mondo in tasca (e tra i piedi). Per qualche anno, fu il trionfo dell’anarchia e dell’arte di arrangiarsi; intuire la traiettoria di quel pallone, scaraventato in avanti, era praticamente impossibile: disegnava parabole imprevedibili, il livello di palleggio (artistico) era azzerato; cosicché, fino al momento in cui rientrava la valvola che ne causava irrimediabilmente l’implosione, anch’io fui convinto di esser diventato ambidestro ed avere la falcata di Antognoni.

Nell’attesa che si raggiungesse il numero legale, ci allenavamo, a turno, nella pratica dei tiri in porta; raggiunto il quorum, poi, componevamo due squadre squilibratissime, scelte dai bardassi più validi, che sotto l’etichetta di “Mio”, si accaparravano dai più prestanti fino alle schiappe (anni dopo ebbi le risposte che cercavo quando, con sguardo smarrito, rimanevo lì, ad aspettare, ore e sopr’ore, tra gli ultimi!). La partita, in realtà, cominciava prima del fischio d’inizio con la (pre)tattica in puro stile contadino; vale a dire: “Ve famo ‘l culo”. Quel pallone sovvertì le leggi della natura e quelle del branco; chiunque si sentisse in diritto di dover dire la sua, lo faceva con estrema facilità; in fondo una pallonata, mal muso, del Super Tele, non avrebbe fatto male! 

Si davano e si prendevano calci di quelli pazzeschi, attacchi frontali dolorosissimi che ricordavano i rituali cavallereschi dei maschi dei cervi reali, quanno se danno le capocciate! Il più delle volte, non esistendo l’arbitro, la soluzione dei casi controversi, circa le punizioni o i rigori, rubava il tempo dell’intera partita, finché il proprietario del pallone minacciava di andarsene o quelli più grossi (di stazza) citavano un fantomatico cugino de’ Roma che conosceva il regolamento a menadito e allora tutti zitti. Al calar del sole, amici come prima, si scioglieva la seduta, non prima di aver bevuto a tonfo dalla fontanella. Ricordo il grado di trasparenza e l’odore mischiato al sudore della fronte; voglio credere che ancora oggi, quell’acqua mantenga lo stesso sapore… a noi sapeva di Paradiso.

Orbene, scusandomi per la digressione nostalgica, passo a parlare dell’odierno pomeriggio calcistico. Si gioca, contro il Via Larga Marsciano, nell’anti-stadio della città, un campo in terra battuta in cui ci aspetta una nutrita schiera di tifosi locali. Piacere!

Anche in terra lontana, diamo prova delle nostre sublimi qualità di gioco, combattendo una partita, a testa alta, per tutto il corso dei lunghissimi 94 minuti e riacciuffando il vantaggio per ben tre volte. Gli avversari, compagine coriacea e tosta, partono a razzo, sfoderando la qualità di cui dispongono, soprattutto a centrocampo; soffriamo un po’ il loro ritmo iniziale ma grazie ad un reparto difensivo consistente e alle cosce toniche dei nostri centrocampisti, riusciamo ad arginare la foga Marscianese e le incursioni del prestante numero 9, attaccante dalla discreta tecnica.

Al 14’ circa, è made in Brigante della Meana la perla che sblocca il risultato: calcio di punizione fuori area che aggira la barriera e va a piazzarsi accanto al palo. Mentre esplodo in un grido liberatorio e un rigurgito di Novello fa capolino, scorgo gli occhi bassi, quasi increduli, dei familiari avversari. 1 a 0. E’ tutto vero!

Daje, picchia e mena (mena soprattutto), i Via Larghesi(?) si incattiviscono, polemizzando a dismisura e buttandola sul piano fisico fino a quando, assistiti da Eupalla e aiutati dalla “coggiutagine”, intercettano la sfera respinta da Mohammed Alì-Cortellini, e agguantano il pareggio. Sull’1 a 1 si va negli spogliatoi e io ne approfitto per rifocillarmi con un pezzo di squisita torta al testo.

La ripresa, caratterizzata dall’entrata del Principe de Ripone, parte in discesa per i nostri: i benamati fratelli in mutande acidi spingono sull’acceleratore e dimostrano di aver studiato a menadito il manuale del calcio: fanno girare la palla, presentandosi, ogni tre per due, vis-à-vis con il numero 1 marscianese; ed è ancora Gigi nostro, grazie ad un incrocio sul secondo palo di Papallino, a bussare alla sua porta. 2 a 1: torniamo in vantaggio! Galvanizzato, scambio qualche timida battuta con gli spettatori non paganti accanto a me: “Ve famo ‘l culo!

Aulica locuzione latina con la quale mi risponderanno, gli stessi, qualche minuto più tardi, quando, con una punizione fuori area  calciata magistralmente, i nostri avversari riacciuffano il pareggio. E’ finita: l’arbitro segnala four minutes; rimangono gli scampoli del recupero e siamo stanchi.

Ma non abbastanza. Con la forza della disperazione nelle gambe, impostiamo l’ultima azione; Comodino porta palla sulla fascia. Mentre trattengo il respiro e chiudo gli occhi, in un’attesa interminabile, attorno a me cala il silenzio.

Con un tiro di tutta potenza e precisione, tocco di classe raro da vedere su questi campi, da più di qualche metro lontano dall’area, il Capitano ha tratto in salvo la sua nave. Mentre i compagni lo travolgono, lo vedo alzare gli occhi al cielo.

Il sole sta calando, le botte e i lividi non fanno male, e l’aria oggi ha, ancora una volta, il sapore del Paradiso.

Ed ecco a voi le pagelle:

CORTELLINI ALESSIO: Nessuna colpa sui due gol subiti; si difende con caparbia e il match finale lo vince ai punti. Fuori i secondi! VOTO: 6 ½

FRINGUELLO SIMONE: Sempre attento e nel cuore della gara. Puntuale negli inserimenti, anche se spesso ignorato. Regà datime retta! VOTO: 7

URBANI FABIO: Ci piace di più nella ripresa, non a caso il pallone della vittoria arriva dai suoi piedini (di fata). VOTO: 6 ½

FRINGUELLO MATTEO: Titolare dopo tanto tempo, si distingue sia per qualche giocata che per qualche pausa di troppo. Vola, vola…VOTO: 7 (di stima)

BAMBINI PIETRO: Duttile, prima in difesa, poi a centrocampo. Finchè il fiato lo assiste, ci regala una partita magistrale. Bentornato Sega (a nastro!) VOTO: 7

FEMMINELLI FABIO: Una garanzia. Nei secoli costante. Carabiniere . VOTO: 7

PICCHIO FLAVIO: Volenteroso ma acciaccato (ha più di un malanno). Grazie per l’onesta partita. Galantuomo. VOTO: 6 ½

TARDIOLO VALENTINO: Partita di sostanza, con tanti chilometri percorsi, e di qualità. Ciliegina sulla torta: il gol della vittoria.   Varge e basta la parola. VOTO: 7 ½

PALOMBINI DAMIANO: Ultima invenzione del nostro Mister. Ha il ruolo del fiaccatore: prima li sfinisce, poi esce quando gli avversari sono in coma. Flipper. VOTO: 6 ½

SCIULLI LUIGI: Ci abitua bene, e anche oggi non tradisce. Punizione spettacolare. Che bottino! VOTO: 7

SCIULLI ALESSANDRO: Luci ed ombre. Prima o poi vedremo il suo  repertorio al completo (ne siamo convinti). Buon sangue non mente. VOTO: 6 ½

COCHI MASSIMO: La nostra bandiera porta tranquillità e sicurezza a tutti. Che dire… una garanzia! Saracinesca. VOTO: 6 ½

PASQUALETTI ROBERTO: Piccolo e acerbo ma di sicuro avvenire. Giocando più spesso ce ne darà la conferma. Delle serie: piccoli uomini crescono. VOTO: 6 ½

URBANI DIEGO: Le bisbocce non ci negano il bel Diego delle ultime gare. Sfiora anche il gol di testa dopo aver aiutato la squadra. Crapa pelata, sì, ma giusta. VOTO: 6 ½

BALDINI FRANCESCO: Arriva vicino al gol un paio di volte. Non trafigge, ma di sicuro ha messo via le realizzazioni per sabato prossimo. Principe de Ripone (e de la Buca). VOTO: 6 ½

BALDINI MOURENO: Altri tre punti in tasca, assai sofferti; forse  con qualche accorgimento potevamo patire meno. Comunque, complimenti! VOTO: 6+

 

 


giovedì 29 novembre 2012

Chi dice donna...dice Donna

 
 
In tanti, lo so, vi sarete chiesti, che fine abbia fatto in questi giorni: non sono scappato, amici e tifosi A.Ci.Di, seppur tentato varie volte dalla funesta sorte che si è abbattuta su di me giacché il maltempo mi ha portato un bel da fare; niente, davvero niente, a che vedere con le tragiche e dolorose vicissitudini occorse al nostro territorio (proprio in relazione a questo, vi rimando all’iniziativa della Pro Loco che con tempestività ha attivato una raccolta fondi).
Tra i passatempi di questi giorni, infatti, ci sono state le pulizie generali della cantina, vittima anch’essa dell’impietosa bufera che si è abbattuta sui nostri ginestrici paraggi; giornate consumate così, zuppo (d’acqua e di sudore) e costretto ad ascoltare le lamentele de’ la mi socera, in versione ecologista, sul fatto che “Nun ce so più le mezze stagione” e che “tanto la colpa è tutta de st’inquinamento” perchè  “daje e daje, è venuto pure l’buco nello zono!” (una sorta di Al Gore nostrano insomma!) Guardandomi bene dal disperdere energie, evito di correggerla sul nome scientifico del buco sopracitato, non fosse altro perché l’ozono è “lo zono” da ottant’anni, al pari della “aradio” e della “scolta!”, inteso come imperativo del verbo “ascoltare”. Ci rinuncio.
Il mio ingrato compito era quello di verificare l’integrità dei barattoli delle conserve preparate dalle donne di casa, con devozione e rigorosamente senza Fruttapecche, durante il periodo estivo; “che qui pe’ magnalle, la bocca ce l’hanno tutte, ma quanno se tratta de move le mano..!” Due belve insomma, soprattutto nel momento in cui si è reso necessario devolvere, giusto un paio di barattoli di carciofini, al secchio della monnezza: melodramma!
Orbene, giustificata, come a scuola, la mia assenza, mi accingo a parlarvi di questa nebbiosa e tesa domenica calcistica che, fin dalle prime luci dell’alba, infiamma i bar e i circoli del Paese (inteso come Italia) e non tanto per il match pomeridiano -da noi anche per quello!- ma soprattutto per il serale “Milan- Juve”, sulle cui dicotomiche polemiche (Rigore si? Rigore no? “Moviola in gambo”, reclamata a gran voce dal Biscardi Nazionale e Mister-Onestà-Allegri che inizia la disamina del match sbugiardando la decisione arbitrale) verterà ogni pausa caffè del mio rientro a lavoro, lunedì.
Domenica 25 Novembre, la Chiesa festeggia Santa Caterina da Alessandria, morta nel 305 d.C. probabilmente per mano dell’imperatore Massenzio. La storia vuole che Caterina si presentò a palazzo nel bel mezzo dei festeggiamenti, nel corso dei quali si celebravano feste pagane con sacrifici di animali e che rifiutò quest’ultimi, chiedendo all'imperatore di riconoscere Gesù Cristo come redentore dell'umanità. L'uomo, colpito dalla bellezza e dalla cultura della giovane, cercò di farla convincere ad onorare gli dei pagani, da un gruppo di retori. Eppure, grazie all’eloquenza della donna, non solo non fu lei a convertirsi, ma loro stessi divennero Cristiani. Fu a questo punto che Massenzio ordinò la condanna a morte di tutti i retori e di Caterina, destinata a spirare su una ruota dentata. Eppure, la morte non deturpò la caparbietà, l’onorabilità e la convinzione delle sue scelte.
Aspetti a me noti e rintracciabili in tutti i volti delle nostre capofamiglia, la cui dignità e i cui principi non hanno avuto e mai avranno alcun prezzo. A differenza nostra che, che ne so, per la tribuna di un derby, venderemmo l’anima al diavolo! Ricordo volentieri, nella Giornata Internazionale contro la violenza femminile, una cosa seria, un insegnamento contadino del povero nonno: “Della casa l’omini so la lana ma le donne so’ la trama”. Parole sante.
Torniamo a noi. Dal momento che si gioca a Mattio, consumo il mio pranzo a casa con più calma del solito e, per sfuggire alle chiacchiere domenicali dei due sergenti in gonnella, su quello che i rotocalchi indicano come lo scoop più gettonato del momento (“l’hae sentito de la pubblicità de Belen in mutande che manna tutte le machine fori strada… che lavoro!”) cerco furtivo lo sguardo del mio fido &Co, da me invitato con lo scopo di eludere le sopracitate, ma che invece si getta nella mischia, dimostrando di avere più padronanza circa la farfallina dell’argentina che sulle regole del fuorigioco. Povero me.
Il pranzo prevede, il classico menù domenicale alleronese: antipasto (misto), tagliatelle al ragù, pollo arrosto con patate e, come dessert, la celebre torta di mele; essendoci ospiti però, emo rispolverato il servizio quello bono. Caffè, doppio-ammazzacaffè e dritti al Tardiolo sulle note di “a noe ce piace de magnà e beve e nun ce piace de lavorà!
Quest’oggi, davanti ad una nutrita compagine tifosereccia, svettano (alcuni anche per stazza! Ste fije crescono a vista d’occhio!) una schiera di afficionados di un arancione fluo che manco i capocantonieri dell’Anas. Idea superlativa che rende, semmai ce ne fosse bisogno, ancor più colorita la nostra greppa! Ne ordino una anch’io.
Sono venuti a farci visita i nero-vestiti del Pilonico, squadra davvero modesta, tecnicamente carente, composta da svariati elementi tendenti agli -anta e pochi altri di primo pelo. Il primo tempo, seppur conclusosi con una sola rete, è uno spettacolo praticamente a senso unico; la maledizione della Dea Eupalla torna ad avvolgere il Tardiolo, lasciando sfumare diverse occasioni perse ad un passo dalla rete; un’onta che andrebbe lavata via il prima possibile.
Le azioni manovrate e avviate dal nostro centrocampo, con la retrovia rossoblù quasi mai impegnata, catalizzano il match fino al prezioso tocco del Principe de’ Ripone; è il suo il gol che spezza gli equilibri e, finalmente, cambia il destino della partita. Il Pilonico, frastornato dalle qualità del nostro reparto offensivo, va sotto, e nemmeno l’intervallo riesce a restituirgli vigore.
I minuti di sofferenza, vissuti nel secondo tempo, saranno scongiurati da un netto 4 a 1 finale. Ma, a me, lo hanno raccontato. E’ stato infatti verso la mezz’ora, che un autoveicolo dall’aspetto familiare, a tutto gasse, suonando il clacson dall’altezza del campo di Michelangelo fino al parcheggio del Tardiolo, ha catalizzato la mia fulminea attenzione. Finisce così; che, spolmonato, raggiungo il bolide fumante e picchiettando sui finestrini appannati, tanto è stato il fiato esalato da quelle grida disumane, con la vena ironica fuori luogo, domando: “qual buon vento?
Finisco ri-accompagnato a casa, coperto di improperi vari, che manco quando in seconda elementare scrissi Habbiamo con l’h, hanno fatto tutta sta confusione. Era la mi moje. Nel ripulire, ha trovato una partita di barattoli de’ mele cotogne (prelibatezza rara, per carità) che a me m’allappano la bocca da morì, ‘nguattata dietro alla lavatrice. Ed è venuta a mandare a male la mia, di partita. In fondo, come darle torto.
Ed ecco a voi le pagelle:
CORTELLINI ALESSIO: Forse è la noia, la causa della sua piccola distrazione: quando ha preso il gol, pare che stesse mettendo su il sugo per la polenta della cena A.Ci.Da (“co tutto quello che c’è da fa, regà, mejo avvantaggiasse!”). Tuttavia dirige alla perfezione, impartisce ordini e manda gli avversari a pelare le patate. CAPOCUOCO. VOTO: 6
FRINGUELLO SIMONE: Del “fringuello” lui ha solo il nome: ha l’occhio di un falco, la furbizia di una gazza, la precisione di un rapace. Sbaglia davvero pochissimo. GALLINA DALLE UOVA D’ORO. VOTO: 7
FEMMINELLI FABIO: Una volta, quando l’uva si coglieva ancora a mano, a noi altri bardassi ci dicevano sempre “Nu le cojete le femminelle, che abbassono l’grado”. Lui, invece, il grado lo fa eccome; dà qualità alla squadra e, spietato, non lascia scampo agli avversari. VENDEMMIATRICE.VOTO: 6 ½
SERRANTI NICOLO’: In un reparto certamente poco impegnato, fa il suo e si gode lo spettacolo. Patatine e birra alla mano, ci sta pure la pennichella. ASSONNATO. VOTO: 6+
URBANI FABIO: Piccoli campioncini crescono: difficilmente prevedibile nei passaggi, sempre attento nelle giocate, il nostro “comodino” sta diventando un solido “armadio”… e pensare che si “compone” tutto da sé! IKEA. VOTO: 7
SCIULLI ALESSANDRO: In un centrocampo rimodellato, ci è apparso a volte precipitoso: i piedi e la classe non gli mancano, ma nelle ultime partite è stato un po’ impreciso. LATITANTE. VOTO: 6
FRINGUELLO MATTEO: A vedere le sue terga per buona parte della partita scaldare la panchina, ci piange il cuore, visto che quando entra giostra il pallone a suo piacimento. Il pelo nell’uovo? Gioca troppo a testa bassa, manco cercasse qualcosa per terra. FUNGAROLO. VOTO: 6 ½
TARDIOLO VALENTINO: Le sue lodi, si sa, le intessiamo ad ogni partita oramai. E forse l’invidia degli Dei lo ha colpito, lasciandolo in panchina un po’ troppo lungo per i suoi/nostri gusti. Le sue qualità fanno sempre la differenza. Ci regala un rigore meritatissimo e un magnifico assist sull’ultimo gol. STAKANOVISTA. VOTO:7
PICCHIO FLAVIO: Zumpa-pa-pa ,zumpa-pa-pa, zumpa-pa-pa-pà. A volte, come nel ballo, è difficile prendere il ritmo giusto quando si entra in corsa e si finisce a pestare i piedi della compagna. Capita, ciò non significa che non si sappia più ballare o che ci si trovi al ballo delle debuttanti. DON LURIO. VOTO: 6
PONTREMOLI ALESSIO: Lo sfonda-reti. Entra dalla panchina e mette a segno la seconda rete in due partite di fila. LASCIA O RADDOPPIA? VOTO: 6 ½
BAMBINI PIETRO: A volte forse suda troppo ed è questo probabilmente che manda in corto la centralina! Stavolta invece “la sega a nastro dell’Acquaviva” non si inceppa e, finché dura la miscela, dà filo da torcere agli avversari. “OMO DE MACCHIA”. VOTO: 6 ½
PASQUALETTI ROBERTO: Ovvero “il ruggito del coniglio”. Sorprendentemente tranquillo, gioca con serenità dall’inizio alla fine e senza tanti fronzoli. Gli riesce davvero bene! SIMPLY THE BEST. VOTO: 7
SCIULLI LUIGI: Tra CheGuevara e Padre Pio; dapprima nervoso, sbraita e si agita come il più incallito dei rivoluzionari. Appena si calma però, ritrova la retta via e mette a segno due reti fondamentali. ESORCIZZATELO! VOTO: 7
URBANI DIEGO: Sta vivendo la sua “seconda gioventù” : come per magia tira fuori dal cilindro buonissimi spunti, lotta e motiva con la grinta di un “bardassetto”. CASANOVA (e non solo con le donne) VOTO: 6 ½
BALDINI FRANCESCO: “C’era una volta il west”: è da subito una lotta all’ultimo sangue tra lui e il portiere avversario; una gara di resistenza, un duello di testa e di piedi. Ma, soprattutto, di cuore, perché il nostro Principe del Ripone ci ha creduto fino alla fine regalandoci davvero un bel gol. PISTOLERO. VOTO: 7
PALOMBINI DAMIANO: Ci è apparso un po’ distratto ma noi sappiamo bene dov’è realmente : con la mente il nostro Palombini Jr si trova appostato alla solina, con una mimetica indosso piuttosto che gli scarpini da calcio, mentre mangia il suo panino con la mazzafegata in attesa di una preda succulenta. Corre e si impegna ma non finalizza. CACCIATORE. (SI, MA DI AQUILONI!). VOTO: 6+