La mia domenica finisce così. Che, durante una morbida (si fa per dire) cena tra vecchie glorie presso una storica trattoria Trevinanese, a gozzo pieno e lingua sciolta, mi infilo in un’intricata disquisizione sulle miserie nazionali. E gira che te rigira, daje, picchia e mena, alla fine, la metafora diventa calcistica e noi ci ritroviamo, come al solito, ad urlarci contro le nostre differenti visioni circa i massimi sistemi del pallone. Da quando, alto poco più di mezzo metro, ho iniziato a cimentarmi nel farfugliamento delle prime formazioni, fino ad ora, nella bolgia degli infiniti episodi del calcio, mai mi sono rassegnato alla dittatura del risultato. Perché poi, dietro alle decisioni del referee, ai singoli episodi, ai colpi di coda e quelli di culo, dietro al fischio finale, c’è tutta un’infinità di altre cose. C’è il calcio.
Finisce così, che mentre Capitan Del Piero regala ai bianconeri il colpaccio su un’Internazionale sempre più appannata e Gianfranco spegne i fuochi della cucina, le bottiglie di rosso vuote sul nostro tavolo non entrano in una cassetta. Finisce che mentre i clienti fissi sonnecchiano sulle panche, davanti ai bicchieri sporchi di Borsci, il conto (onesto) a centrotavola ci aiuta a troncare la piuttosto scurrile controversia e a riprendere la strada verso casa. Via.
Mentre, a fatica, imposto le indomabili curve dopo la spianata di Valcella, ripenso a tutte le volte in cui dovetti battermi contro i cinici professori del pallone, alzando la voce per difendere le mie regole e sovvertire quelle universali del calcio. Per me, separato troppo presto dalla maestra delle scienze, i “risultati” sono sempre rimasti robaccia e, dovermi rassegnare all’idea che “nel calcio vince chi segna”, sarebbe stato un esercizio davvero deprimente.
A questo punto, cari lettori, mi piacerebbe raccontarvi un breve aneddoto. Era l’ottobre del ’61 quando, per la prima volta nel derby milanese, si scontrarono due geni della panchina. Che partita, quella partita. Successe di tutto, fino agli ultimi minuti, quando si verificò un vero e proprio assedio perché la Grande Inter non ci stava a perdere di tre reti. E’ storia scritta una quarantina di anni fa, quando Nereo Rocco fece piangere Helenio Herrera. H.H., Il mago, così fu soprannominato, era stato fortissimamente voluto da Angelo Moratti che si adoperò per strapparlo nientepòpòdimenoche al Barcellona; arrivato a Milano, in tre giorni, oltre alla promessa di uno scudetto, rivoluzionò tutto: dalla mentalità, al modo di comunicare con ragazzi e sostenitori. A quel punto, pur dopo una sonora sconfitta, i tifosi interisti, anziché scegliere la strada dei forconi, decisero di rimanere stretti intorno all’ambiente, dimenticandosi di quel risultato. Era il 3 ottobre del ’61 quando di mattina presto, sui muri dello spogliatoio, comparvero dei mastodontici cartelloni.
Quindi, cari tifosi A.Ci.Di, è arrivato il momento di srotolare le lenzuola sdrucite del corredo e ridimensionare questo ingiusto 3 a 0. Cosa vogliamo dire ad una squadra che gioca un primo tempo tra i più proficui e “cazzuti” della stagione, presentandosi a viso aperto, davanti alla porta avversaria, con una sfilza di pericolose occasioni? Che fa tremare la rete dopo appena quattro minuti, con un pallonetto respinto sulla riga? E poco dopo sgancia un tiro angolato che, dentro area, finisce a fil di palo? Ad un gruppo voglioso di dimostrare carattere, personalità e grinta, che pratica un calcio di buon livello, non lasciandosi intimidire nemmeno dalla prima?
Sarà pur vero che “nel calcio vince chi segna” ma se, per segnare, chi ha vinto, ha avuto bisogno di dimenarsi fino al 95’, mal riuscendo ad arginare il nostro agonismo e sfruttando, in pratica, solo il contropiede, come baluardo nei momenti finali di comprensibile stanchezza, allora quanto conta il risultato? C’è chi vince e chi gioca e mai come oggi, un’equa spartizione del risultato sarebbe stata cosa certamente più giusta. Datemi retta, nel calcio, vince chi segna ma anche chi ci va vicino. E se quel tiro dagli undici metri, concessoci sull’1 a 0, fosse entrato, forse oggi davvero ci saremmo raccontati un’altra storia. Ma va bene così.
Dimenticavo, su quei cartelloni, quella mattina di inizio ottobre, c’era scritto: “Chi non dà tutto, non dà niente”. A tutti voi, ragazzi, grazie!
Ed ecco a voi le pagelle:
CORTELLINI ALESSIO: Due belle parate che ne confermano il valore. Prezioso. VOTO: 7
PALOMBINI MATTEO: Barcolla ma non molla. Nonostante qualche doloretto e qualche momento di defajance, buona prova. VOTO: 6 ½
TIBERI RICCARDO: Cincischia sul goal pur essendo in vantaggio. Ma si riprende alla grande concludendo la partita in crescendo. VOTO: 6 ½
MAGISTRATO SIMONE: Cerca di arginare come può i temibilissimi invasori. VOTO: 6
MANGANELLO GIORGIO: Scorrazza sulla fascia dal primo all’ultimo minuto. Si fa comprensibilmente scavalcare sul terzo goal ma perché era sfinito. Eroico. VOTO: 7
URBANI FABIO: Lo adoro (quasi sempre!) da terzino. In mezzo al campo, fa anche più del suo ma gli manca l’abitudine. VOTO: 6 ½
PONTREMOLI ALESSIO: La sua solita partita; in più, aiuta molto anche il reparto difensivo. VOTO: 6 ½
URBANI DIEGO: Resta in campo nonostante i dolori. Sarà meglio che si preservi per la finale. Cholo, Cholo, Cholo! VOTO: 6
RICCITELLI ANDREA: Buon primo tempo in cui distribuisce palloni a destra e sinistra. Può dare di più ma non ha ancora i 90 minuti nelle gambe. VOTO: 6 ½
BATTISTI RAFFAELE: La volontà è la stessa di sempre. Forse, soprattutto in queste occasioni, la mancanza di allenamento si fa sentire. VOTO: 6
BALDINI FRANCESCO: Pericolosissimo nei primi minuti con palle goal mancate di un soffio. Il rigore sbagliato lo innervosisce. Nervi saldi e pedalare! Succede! VOTO: 6 ½
PANICO DAVID: La partita era sicuramente tra le più complicate per riuscire a intercettare palle succulente. Peccato. VOTO: 6
FRINGUELLO MATTEO: Entra fresco e cambia la musica. Preciso e convinto. VOTO: 6 ½
BAMBINI PIETRO: Entra e attacca briga. Nel frattempo, decide anche di giocare buone palle. VOTO: 6
PALOMBINI DAMIANO: Entra e riesce pure a segnare. L’arbitro annulla. A un passo dal sogno. VOTO: 6
MISTER MOURENO: Non è facile, con tanti assenti e turn over d’obbligo. La squadra è carichissima e tanto è merito suo. VOTO: 6 ½